(ingl. soul; ted. Seele;
franc. âme)

Termine di derivazione latina che indica l’inizio dell’attività cosciente
dell’individuo e, più in generale, l’inizio della vita di ciascun essere vivente.
Nella società occidentale, il significato acquisito progressivamente dal termine è
quello di principio delle attività spirituali e, quale equivalente della parola
greca psiché, sono state a esso ricondotte tutte le cosiddette attività
psichiche. Al di là della filosofia per la quale l’anima è un tema centrale, e
dell’antropologia, in ambito psicologico soltanto la psicologia analitica, e in
particolar modo il suo fondatore, si è ampiamente occupata di tale concetto.
Psicologia

analitica

.
Jung ha considerato l’anima secondo due differenti significati, uno generale, in
cui esprime l’interiorità dell’individuo rispetto alla maschera sociale della Persona, l’altro specifico, in cui
l’anima è l’immagine del femminile che ogni individuo di sesso maschile ha
interiorizzato. Egli attribuisce al termine Persona il carattere esteriore,
l’atteggiamento che il soggetto ha verso l’esterno, al termine anima l’atteggiamento
verso l’interno. Jung sostiene inoltre che “per quanto concerne il carattere
dell’anima, vale il principio generale secondo il quale essa, nel suo complesso, è
complementare al carattere esteriore. L’esperienza ci dice che l’anima
suole contenere tutte le qualità genericamente umane che fanno difetto
all’atteggiamento cosciente (…), alla sua Persona. Se la Persona è intellettuale,
l’anima è certamente sentimentale. Ma la complementarità dell’anima riguarda anche
il carattere del sesso (…): una donna molto femminile ha un’anima maschile, un
uomo molto virile ha un’anima femminile”. Quindi, mentre la Persona ha una funzione
mediatrice tra il mondo esterno e l’Io,
l’anima media la relazione tra l’Io e l’interiorità del soggetto, all’interno di una
profonda correlazione nella quale maggiore è l’identificazione dell’individuo con la
Persona, più a lungo l’anima rimane nell’oscurità. Jung definisce quindi l’anima-animus come un’istanza psichica che si
presenta sempre in forma bipolare e “dato che l’anima è un archetipo che si
riscontra nell’uomo, è da presumersi che nella donna esista un fattore equivalente“,
l’animus. L’anima è infatti l’immagine dell’altro sesso che portiamo in noi, non
solo come singoli, ma come appartenenti alla nostra specie, è “il femminile che fa
parte dell’uomo come sua femminilità inconscia”. Prendere coscienza dell’immagine
dell’anima consente quindi di scoprire la componente eterosessuale della nostra
psiche. Emerge in tal senso, chiaramente, un concetto cardine della teoria
junghiana, la complementarità tra conscio e inconscio.Jung considera
l’anima quale configurazione emergente da una struttura archetipica di base (vedi
Archetipo), che opera all’interno
della psiche inconscia e che può diventare uno strumento del processo di individuazione. Come tutti gli
archetipi, quello dell’anima si può cogliere attraverso le sue manifestazioni,
assunte in seguito alla proiezione e che si palesano come peculiari personificazioni
dell’altro sesso. L’archetipo dell’anima prende la forma di una figura femminile
ideale nell’uomo, in quanto ciascuno dispone nel proprio inconscio di una
rappresentazione ideale dell’altro, che si manifesta nella modalità in cui
l’individuo deforma l’immagine delle donne reali incontrate nella sua vita, quella
della madre, della moglie, degli oggetti d’amore femminili. Come immagine
archetipica, l’anima mostra una dimensione psichica universale, comune a ogni gruppo
umano ed esistente a priori rispetto all’esperienza.Come componente
esperienziale, l’anima nasce dai primi rapporti intercorrenti nell’infanzia tra il
bambino e le figure femminili per lui significative, la madre o un suo sostituto,
anche se le immagini reali vengono sempre interiorizzate sotto forma di
rappresentazioni inconsciamente “aggiustate” attraverso la fantasia e che solo in
tal modo possono andare a creare il mondo interiore del soggetto.Dopo
quella archetipica e quella esperienziale, la terza ipotesi proposta da Jung in
merito all’origine dell’anima è quella biologica, nella quale sostiene che “l’anima
è probabilmente una manifestazione psichica di quella minoranza di geni femminili
che ha sede in un corpo maschile”. Jung sostiene che l’anima è il più autentico
sistema di conoscenza dell’inconscio, che consente di comunicare con gli oggetti
esterni e interni ed è il rappresentante delle più profonde istanze della
personalità, che vengono involontariamente proiettate sugli altri, catalizzatori dei
legami affettivi. L’anima viene a essere personificata nei sogni, nelle visioni,
nelle fantasie in forma mitica ed è al contempo una ricca fonte di ispirazione, in
quanto sito eminente dell’emotività.In merito al pensiero di Jung, J.
Hillman scrive: “Jung ebbe il coraggio di sostenere la sua posizione, affermando che
l’anima è la prima realtà umana. Non mutuò alcuna metafora basilare dalla biologia o
dalla sociologia (… ma) diede credito ai suoi pazienti e credette nelle loro
anime”, quali personificazioni dell’inconscio.Hillman definisce l’anima,
che afferma essere il tema dominante di tutta la sua opera, “prima di tutto, più che
una sostanza, una prospettiva, più che una cosa in sé, una visuale sulle cose.
Questa prospettiva è riflessiva; essa media gli eventi e determina le differenze tra
noi stessi e tutto ciò che accade. Tra noi e gli eventi, tra l’agente e l’azione,
c’è un momento riflessivo – e fare anima significa differenziare
questa zona intermedia (…). L’anima si dimostra un fattore indipendente dagli
eventi nei quali siamo immersi. Non posso identificarla con nessun altra cosa, ma
non posso neppure afferrarla da sola, isolata dalle altre cose, forse perché è
simile a un riflesso in uno specchio fluido”. “L’anima in realtà non è un concetto,
ma un simbolo, (…) è un concetto deliberatamente ambiguo che resiste a tutte le
definizioni nello stesso modo dei simboli supremi che forniscono le metafore
basilari dei sistemi del pensiero umano. (…)”.Hillman si è occupato del
concetto di anima in rapporto all’analisi, di cui scrive: “Ciò che una persona porta
nell’ora di analisi sono le sofferenze dell’anima; mentre i significati scoperti, le
esperienze fatte in comune e l’intenzionalità del processo terapeutico sono tutte
espressioni di una realtà vivente che non può essere appresa in modo migliore che
attraverso la metafora basilare della psicologia, la psiche o anima”. Poiché tutte
le analisi gravitano attorno all’asse della realtà psichica, il suicidio, distruzione del corpo a
opera di “una mera fantasia”, “diviene l’esperienza paradigmatica di tutte le
analisi, forse di tutta la vita”.

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