La terapia farmacologica dell’emicrania si articola in due principali momenti:
trattamento dell’attacco singolo e profilassi.Il trattamento dell’attacco
acuto ottimale deve cominciare già al momento della comparsa dell’aura emicranica
(se questa è presente), altrimenti non appena compare la sintomatologia algica. Se
l’intensità della sintomatologia dolorosa non è particolarmente intensa potrà anche
essere sufficiente l’assunzione di acido acetilsalicilico, paracetamolo oppure di
dosi equivalenti di un altro farmaco antinfiammatorio non steroideo (il più efficace
dei quali è l’indometacina). Altra classe di antiemicranici efficaci anche nel caso
di attacchi particolarmente intensi è rappresentata dagli alcaloidi dell’ergotamina,
ovvero l’ergotamina tartrato e la diidroergotamina. La diidroergotamina in
particolare è una sostanza riconosciuta per la sua attività di agonista recettoriale
serotoninergico (soprattutto sui recettori 5-HT1-B/D) non selettivo e
pertanto la sua assunzione si associa a vari effetti collaterali, tra cui
soprattutto nausea ed ergotismo; oltre a ciò, la diidroergotamina possiede una
biodisponibilità orale piuttosto scarsa. Questo farmaco viene quindi somministrato
per via sottocutanea o intramuscolare, eventualmente associato a prometazina o
metoclopramide per os per contrastare l’eventuale comparsa di nausea e vomito e
favorire il rilassamento del paziente. L’azione antiemicranica dell’ergotamina può
poi anche essere potenziata dalla somministrazione di caffeina. Non vi è però dubbio
che la scoperta del sumatriptan abbia costituito il più importante passo in avanti
nella terapia acuta dell’emicrania degli ultimi 50 anni. Una singola dose di
sumatriptan somministrata per via sottocutanea rappresenta un trattamento efficace e
ben tollerato per l’attacco emicranico; inoltre, è un farmaco facilmente
autosomministrabile e ciò evita il ricorso al Pronto Soccorso che spesso si verifica
in questi casi. È possibile somministrarlo per via orale, ma in questo caso la
latenza dell’effetto farmacologico è maggiore rispetto alla somministrazione
sottocutanea. In caso, comunque, non si riesca a ottenere un controllo soddisfacente
del dolore può essere necessaria la somministrazione di diidroergotamina endovena
dopo l’iniezione di un antiemetico (prometazina o metoclopramide). A causa, però,
del rischio connesso a un prolungato spasmo arterioso nei soggetti con malattie
vascolari (soprattutto nei coronaropatici) e nelle donne in gravidanza l’ergotamina
e la diidroergotamina non dovrebbero essere utilizzate.Negli ultimi anni al
sumatriptan si è affiancata una serie di nuovi, più efficaci e meglio tollerati
derivati triptanici, che nel complesso alcuni definiscono come triptani di seconda
generazione. Alcuni di questi, oltre al consueto agonismo recettoriale
serotoninergico nei confronti dei recettori 5-HT1B/D, presentano anche
una discreta affinità per i recettori 5-HT1-F. Rispetto al loro
capostipite hanno una maggiore efficacia farmacologica e soprattutto una
farmacocinetica orale nettamente superiore, si distinguono l’uno dall’altro per la
maggiore o minore rapidità di azione o per un effetto più prolungato (fra gli ultimi
commercializzati ricordiamo il naratriptan, lo zolmitriptan, il frovatriptan, il
rizatriptan e l’elitriptan).Negli individui in cui gli attacchi emicranici
sono frequenti, è consigliabile instaurare un trattamento preventivo (in genere
quando gli attacchi sono superiori a 2 episodi/mese o a 4 giorni di cefalea/mese);
la profilassi dell’attacco è volta a prevenire le recidive, ma è un trattamento di
difficile conduzione per il carico degli effetti collaterali. Può a tal fine essere
efficace l’utilizzo del propranololo (o, in seconda battuta, altri
b-bloccanti quali l’atenololo, il timololo o il metoprololo), che
però può provocare bradicardia o ipotensione e che è controindicato nel diabete, nei
pazienti affetti da disturbo del ritmo cardiaco e nell’asma. Sono invece più
utilizzati i calcio antagonisti (soprattutto la flunarizina 5-10 mg/die la sera in
cicli di 2 mesi: 3 cicli da 20 giorni con intervalli di 10 giorni al fine di
limitare gli effetti collaterali più frequenti, l’incremento ponderale, la
depressione del tono dell’umore e la comparsa di sintomatologia extrapiramidale di
tipo parkinsoniano), efficaci nel ridurre l’intensità e il numero delle crisi, anche
se hanno il difetto di caratterizzarsi per una prolungata latenza dell’effetto
farmacologico (vi è un tipico intervallo di alcune settimane prima di ottenere
risultati apprezzabili). Sono controindicati nei pazienti depressi e nell’anziano.
Tale terapia profilattica ha comunque successo (riduzione del 50% degli episodi) nel
70-80% dei casi. Infine, possono poi essere anche utilizzati gli antidepressivi
triciclici (in particolare l’amitriptilina perché dotata di una spiccata azione
inibitoria sul reuptake della serotonina) – dosaggi decisamente inferiori a quelli
indicati per la terapia dei disturbi dell’umore – che sono anche e soprattutto
efficaci nella profilassi della cefalea tensiva.