Funzione eminentemente materna volta a tenere insieme i pezzi della nascente mente del neonato, facendo in tal senso da contenitore psicologico significativo. Il prototipo fisico del suddetto contenitore è rappresentato dal tenere tra le braccia il bambino, proteggendolo ed avvolgendolo. D. Winnicott, per designare tale evento, usa il termine holding (Winnicott 1965), affermando che la madre è per il bambino l’ambiente che contribuisce al suo sviluppo attraverso il contenimento delle braccia, delle mani, del corpo, che favorisce una sensazione empatica, pervasiva tale da divenire il sentimento fondamentale di essere compreso emozionalmente, “tenuto insieme”: “Il bambino piccolo cade a pezzi se non viene tenuto insieme e, in queste fasi, le cure fisiche sono cure psicologiche” (1987). Il contenimento fisico conduce perciò a quello psichico, che è portatore di comprensione psicologica a opera di una “madre sufficientemente buona” (1964, 1965), che è colei che soddisfa anche i bisogni relazionali del neonato. È essenziale quindi che la mamma trasmetta, attraverso tale azione fisica, significati affettivi profondi, capaci di rendere la funzione holding una funzione eminentemente psichica, inconscia e autonoma. Ciò è quanto occorre al bambino per svilupparsi ed è come se gli si fornisse uno spazio nel quale muoversi e far fronte alla sua angoscia, protetto dagli stimoli troppo numerosi provenienti dal mondo esterno, e nel quale costituire le basi per il successivo sviluppo della “capacità di esser solo” (1958), che consiste nell’imparare a essere soli avendo dentro di sé una presenza consolante. Inizialmente, viene appresa in presenza della madre, ma è solo nel momento in cui si sviluppa tale capacità di contenersi dall’interno che il soggetto è in grado di opporsi alla disgregazione della personalità, sempre pronta a sopraffarlo. Le cure materne contengono quindi il germe vitale, indispensabile affinché si attivi nel bambino un sano sviluppo mentale.Al contrario, quando il bambino è stanco, triste, deve addormentarsi, è deluso, è stato sgridato, quando cioè il suo rapporto con la realtà va oltre le sue possibilità di sopportazione, egli si rivolge ai suoi oggetti transizionali (Winnicott 1971) (vedi
Oggetto) che gli permettono di tornare nel suo mondo infantile interno. Possono perciò essere definiti come i momenti in cui il bambino compie una fantasmatizzazione sugli oggetti buoni interni, utili a sviluppare la sua capacità di percepire il reale.Il fallimento della funzione materna viene individuata da Winnicott quando la madre non favorisce né partecipa alla creazione allucinatoria e perciò all’esperienza transizionale del bambino, che cresce privo del “rifornimento psichico”, in una stato di precarietà e solitudine.Il concetto di contenimento, e in specifico il modello di contenitore-contenuto, è fondamentale nell’opera di Bion (1962), che lo introduce per descrivere il processo di conoscenza, a cominciare dalla relazione tra analista e analizzato. In particolar modo, amplia il concetto di sviluppo psichico connettendolo saldamente con quello fisico dell’individuo. Egli sostiene che alla nascita il neonato vive l’importante perdita del proprio contenitore biologico (la cavità uterina) e di quello funzionale (che soddisfa ogni bisogno fisico e psichico dell’embrione), necessitando quindi immediatamente di un contenitore vicario, le braccia e, soprattutto, la mente materna. Quest’ultima ha l’essenziale funzione non solo di contenere il messaggio emotivo del bambino, ma di pensarlo, elaborarlo, decodificarlo: Bion vede infatti la relazione madre-bambino fondamentalmente come una possibilità di conoscenza. Aiutare il proprio figlio consiste nel pensare e differenziare le emozioni e i sentimenti che egli trasmette, in modo da poter dar loro un nome e bonificare così anche i sentimenti più distruttivi.