Nella confusione terminologica e classificatoria, i primi studi sistematizzati sul delirium di Z.J. Lipowski (1990) hanno portato, nella metà degli anni Settanta, al delinearsi di un quadro e di una definizione di “disturbo mentale organico transitorio, a insorgenza acuta, caratterizzato da una globale alterazione delle funzioni cognitive, da un ridotto livello di coscienza, da aumentata o diminuita attività psicomotoria e da disturbi del ciclo sonno-veglia”. Le classificazioni internazionali (ICD, DSM) hanno ripreso sostanzialmente gli stessi criteri. Nel DSM-IV il delirium è definito come una sindrome a base organica certa, caratterizzata da alterazione della coscienza con ridotta capacità di focalizzare, mantenere o spostare l’attenzione, modificazione cognitiva o percettiva, esordio brusco, durata breve e fluttuazioni giornaliere.Il termine è stato introdotto da Celso nel I secolo d.C., a indicare un quadro psichico temporaneo, che poteva comparire nel corso di un episodio febbrile, caratterizzato da agitazione psicomotoria, in contrapposizione al quadro della letargia. Solo nel XIX secolo (Gowers) si arriva all’unificazione in un unico fenomeno, e quindi in un unico termine, delle due varianti agitata e quieta. A cavallo di Ottocento e Novecento, in Francia sono stati introdotti i termini di confusione mentale primitiva (Delasiauve; Chaslin) e di delirio onirico (Regis) sotto la spinta delle teorie gerarchiche di Jackson relative alla liberazione di funzioni inferiori a causa della perdita del controllo volontario sulle capacità intellettive.Altri termini spesso usati come sinonimi sono reazione acuta psicogena e il più diffuso amenza, voce di scuola tedesca introdotta da Bonhoeffer (1909), attualmente utilizzato per descrivere le forme più gravi, con compromissione neurovegetativa marcata. A metà del Novecento Ey, nel quadro di una classificazione globale di tutti i disturbi psichici come disturbi della coscienza, ha introdotto il concetto di destrutturazione del campo di coscienza, ipotizzando che concorressero a determinare tale quadro l’entità del danno organico presente e le possibilità vicarianti diversificate in ogni individuo, fattori responsabili della variabilità del quadro clinico. Al termine degli anni Sessanta sono state poste le prime basi scientifiche di tipo biologico da Engel e Romano, che hanno operato una correlazione fra il grado di alterazione cognitiva presente nel delirium e il rallentamento osservato all’EEG.Il DSM-IV riporta, come unico dato epidemiologico, una prevalenza di delirium del 10% nei pazienti con più di 65 anni ricoverati per condizioni mediche generali, all’ingresso, e di un altro 10-15% durante il ricovero. In realtà, tale prevalenza varia a seconda dei reparti, raggiungendo un 30% dei ricoverati in Unità di Terapia Intensiva, Cardiochirurgia e Unità Ustionati e percentuali maggiori nei reparti di Oculistica e Ortopedia, specialmente dopo interventi di protesi d’anca. Nei soggetti oltre i 70 anni, nei quali concomita spesso un processo demenziale, l’incidenza raggiunge il 50% e il 60% oltre gli 85 anni.Il quadro clinico si manifesta con un esordio che può essere brusco, ma che nella maggior parte dei casi è preceduto da una fase prodromica, frequentemente notturna e di durata variabile da alcune ore a 3 giorni, caratterizzata da irritabilità, sintomatologia ansiosa, ipersensibilità agli stimoli, ridotta attentività e parziale disorientamento. Nella fase conclamata si assiste a una globale alterazione delle funzioni psichiche (che giustifica la terminologia ancora spesso usata di confusione mentale) con disturbi dell’attenzione, che rendono il paziente accessibile solo a tratti e incapace di svolgere compiti che richiedono concentrazione; disturbi mnesici (soprattutto della memoria a breve termine e del processo di fissazione della traccia); disorientamento temporo-spaziale con successivi falsi riconoscimenti; alterazione della forma e del contenuto del pensiero che risulta frammentario e con presenza di deliri; dispercezioni (illusioni, allucinazioni soprattutto visive).La variabilità caratterizza i singoli quadri clinici, raggruppabili comunque in due principali forme, di cui una iperattiva, che si manifesta con agitazione psicomotoria, aumento della vigilanza, intensa attivazione autonomica, e una ipoattiva, caratterizzata da torpore, sopore, sonnolenza fino alla letargia. Esistono poi quadri intermedi detti “misti”.Fra le forme più frequentemente descritte si ritrovano il delirium tremens (con le caratteristiche del delirium iperattivo, tremori a grandi scosse); il delirium post-operatorio e il delirium geriatrico (con le caratteristiche del delirium ipoattivo).La classificazione puramente descrittiva del DSM-IV, che non prende in considerazione le possibili variabili dei quadri clinici, è unicamente strutturata sulla diversa eziologia, contemplando quindi un delirium dovuto a una condizione medica generale, un delirium indotto da sostanze (intossicazione o astinenza), un delirium dovuto a eziologie molteplici e un delirium non altrimenti specificato come categoria residua.L’episodio può risolversi, sfociare in patologie deficitarie protratte (ad es., un quadro demenziale) o nell’exitus in percentuali che, secondo alcuni autori, possono anche raggiungere il 40% a 1 anno.Stante l’organicità del quadro, l’eziologia del delirium può essere neurologica (disturbi cerebrovascolari, traumi cranici, malattie degenerative, epilessia, sclerosi multipla, infezioni, neoplasie), sistemica (encefalopatie metaboliche, stati tossinfettivi, malattie cerebrovascolari) o legata a stati di intossicazione (farmaci, alcool, sostanze nocive) o di astinenza (alcool, sedativo-ipnotici, stupefacenti).Dal punto di vista patogenetico, il riscontro di un rallentamento del ritmo di fondo dell’EEG nella maggior parte dei casi di delirium ha suggerito che l’alterazione responsabile potrebbe essere localizzata a livello del sistema di attivazione della sostanza reticolare, responsabile dello stato di coscienza e dell’organizzazione del ritmo di fondo dell’EEG. Inoltre, l’osservazione di un globale rallentamento dell’EEG nel delirium evocato da stati tossici e il quadro di un EEG rapido e a basso voltaggio nel delirium tremens, dovuto all’astinenza in seguito ad abuso di alcool o barbiturici, ha condotto all’ipotesi che una compromissione di entrambi i sistemi acetilcolinergici e noradrenergici della sostanza reticolare sia alla base di tutte le forme di delirium, ma si presenterebbero maggiormente interessate le vie colinergiche nel delirium tossico, mentre un’ipersensibilità delle vie adrenergiche, conseguenza della prolungata soppressione a opera di alcool o sedativi, sarebbe presente nel delirium tremens.La terapia è volta alla risoluzione dello squilibrio organico di base, al mantenimento dell’equilibrio idroelettrolitico, della nutrizione e del sonno e alla sedazione. L’aloperidolo risulta essere il farmaco di elezione; nel delirium tremens trovano impiego anche le benzodiazepine, il valproato di sodio e la tiapride.