(ingl. symbol; ted. Sinnbild; fr. symbole)Termine derivante dal greco, sumballw, che significa “mettere insieme”. In origine, designava le due metà di un oggetto spezzato, un anello o una moneta, ad esempio, ricomponibile attraverso il loro avvicinamento: in tal senso, ciascuna parte diveniva un segno di riconoscimento. Il simbolo ha tratto dall’evoluzione di tale funzione pratica una funzione rappresentativa, configurante lo stare al posto di, che da una parte lo avvicina al segno, a tal punto da esserne talvolta assimilato, e dall’altra lo oppone a esso. In quest’ultimo caso, mentre il segno combina convenzionalmente qualcosa con qualcos’altro, il simbolo, richiamando la sua parte corrispondente, rimanda a una particolare realtà non determinata dalla convenzione, bensì dalla ricomposizione delle parti.Al di là della filosofia, della teologia e dell’antropologia, di cui il simbolo è un tema centrale, largo è l’impiego di tale concetto da parte della psicoanalisi e soprattutto della psicologia analitica.Psicoanalisi. In tale contesto, il simbolo è parte della classe dei segni, perché la relazione tra il simbolo e il simbolizzato è costante ed è individuabile nell’individuo, come nella sua cultura, attraverso le manifestazioni linguistiche, folkloristiche, religiose.Sigmund Freud, in merito ai simboli, sostiene che: (a) la loro essenza è individuabile nella costanza della relazione tra il contenuto manifesto di un sogno, di un sintomo e il suo corrispondente contenuto latente; (b) tale rapporto costante si basa soprattutto sull’analogia; (c) nell’interpretazione dei sogni compaiono quali “elementi muti”, che non consentono associazioni relative a essi. Freud sottolinea il parallelismo tra talune forme di rappresentazione, individuate nelle culture primitive, e quelle che caratterizzano i sintomi nevrotici e i simboli onirici: “Si ha l’impressione di essere in presenza di una forma di espressione antica”. Egli individua nell’inconscio e nell’attività psichica del processo primario l’origine dei simboli, il cui scopo è ridurre l’angoscia attraverso la rimozione di desideri e di idee inaccettabili. Tramite la formazione simbolica, costituita dagli indicatori mentali che si frappongono tra stimolo e risposta, si viene a determinare un ritardo della scarica della tensione indotta dallo stimolo. Essa inoltre trasferisce i desideri da oggetti proibiti a sostituti, rendendo possibile la gratificazione immediata. Freud sostiene, inoltre, che gli elementi che vengono a essere rappresentati simbolicamente sono fondamentalmente il corpo e le sue funzioni, tra cui soprattutto la sessualità, i componenti e le relazioni familiari, la nascita e la morte.Nello sviluppare la propria teoria sul simbolismo, Freud le riserva un posto particolare nella teoria del sogno, in quanto “La conoscenza del simbolismo è inconscia, appartiene alla vita intellettuale inconscia (…) le relazioni simboliche non contengono in sé nulla di peculiare al sognatore o al lavoro onirico attraverso cui giungono a espressione (…). Se anche non esistesse la censura onirica, il sogno non sarebbe facilmente intelligibile ai nostri occhi. Pare logico tuttavia supporre che alla censura onirica faccia comodo servirsi del simbolismo, dato che questo tende al suo stesso fine, alla stranezza e all’incomprensibilità del sogno”. In merito alla genesi dei simboli, Freud, a differenza di Jung, non ha assunto una posizione netta, anche se ha ipotizzato un’eredità filogenetica.M. Klein e W.R. Bion compiono una svolta nel modo di concepire il simbolo. Rispetto a Freud, che la individua nella pulsione sessuale, per la Klein la causa prima del conflitto va identificata nelle fantasie distruttive infantili. La simbolizzazione è perciò colta come spostamento di tali fantasie dal corpo materno a nuovi oggetti assimilati a esso e il simbolo non è più una “deformazione” da svelare, bensì qualcosa di spostato da un oggetto a un altro, dall’interno all’esterno, che si colloca nella relazione fantasmatica che il bambino intrattiene con i propri oggetti. Attraverso il suo lavoro con i bambini e con gli psicotici (vedi
Kleiniana, teoria), è giunta a ritenere la capacità di simbolizzare come una funzione in grado di svilupparsi, arrestarsi o essere perduta. Mentre la Klein correla il simbolismo originario alla dinamica depressiva, Bion lo rapporta al contenimento del dolore e alla tolleranza, pur ritenendolo entrambi attivo nella creazione dei processi mentali più evoluti, come la rappresentazione degli oggetti esterni. Secondo Bion “Il simbolo, per come è comunemente inteso, rappresenta una congiunzione riconosciuta come costante da un gruppo; nella psicosi esso rappresenta una congiunzione che il paziente sente con la sua divinità”. Egli pone così in relazione il simbolo con il concetto di “congiunzione costante”, fondamentale nel suo pensiero in quanto correlato ai concetti di contenitore-contenuto (vedi
Contenimento), alla funzione a (vedi
Funzione) e alla barriera di contatto.Psicologia analitica. Nell’opera di Jung, netta è la separazione tra segno e simbolo, di cui scrive: “Per simbolo non intendo affatto un’allegoria o un semplice segno… Un simbolo non abbraccia e non spiega, ma accenna, al di là di se stesso, a un significato ancora trascendente, inconcepibile, oscuramente intuito, che le parole del nostro attuale linguaggio non potrebbero adeguatamente esprimere”. Con ciò, Jung denuncia la valenza puramente semantica del simbolo ridotto a mero segno a opera della scuola freudiana e aggiunge che esso, contenendo in sé il proprio significato, è espressione, diversamente dal segno che implica una sostituzione. “Il simbolo presuppone sempre che l’espressione scelta sia la miglior indicazione o formulazione possibile di un dato di fatto relativamente sconosciuto, ma la cui esistenza è riconosciuta e considerata necessaria… Il simbolo è vivo soltanto finché è pregno di significato. Ma, quando ha dato alla luce il suo significato, quando cioè è stata trovata quella esperienza che formula la cosa ricercata, attesa o presentata ancor meglio del simbolo in uso sino a quel momento, il simbolo muore…”. La funzione psicologica attribuita da Jung al simbolo è quella di trasformare l’energia: infatti, “I simboli funzionano da trasformatori, in quanto trasferiscono la libido da una forma ‘inferiore’ a una forma ‘superiore’. Quando, perciò, un simbolo viene a essere assimilato, si libera un determinato quantitativo di energia psichica utilizzabile a livello conscio. I riti religiosi e magici sono infatti funzionali alla mobilizzazione dell’energia per scopi definiti. La caratteristica peculiare del simbolo è quella di indicare all’individuo una direzione di sviluppo, spingerlo inconsciamente verso una maggior evoluzione della propria vita psichica: infatti, il processo simbolico prende l’avvio dalla sensazione di essere bloccati, ostacolati nel perseguimento dei propri obiettivi e termina con l’acquisizione della capacità di imboccare nuove strade, con la “chiaroveggenza”, con l’illuminazione. Il simbolo però non è né una prospettiva alternativa, né una forma compensatoria in sé, ma catalizza l’attenzione su un altro punto di vista, che non si limita alla risoluzione del conflitto, ma arricchisce la personalità esistente (vedi
Funzione, Sé). È in tal senso che Jung intende la natura del simbolo, come composizione degli opposti: “La materia prima, elaborata da tesi e antitesi e che nel suo processo di formazione unifica gli opposti, è il simbolo vivo”. I simboli sono rappresentazioni metaforiche ed enigmatiche della vita psichica, il cui contenuto è esclusivamente riconducibile a una coscienza che lo crea, anche se nello stesso tempo partecipa di un immaginario universale. La loro origine infatti può essere fatta risalire agli archetipi, la cui piena espressione si palesa nei simboli, intesi come loro significanti. “L’essenza del simbolo consiste nel rappresentare in sé e per sé uno stato di fatto la cui totalità non si può abbracciare mediante l’intelletto, ma al cui eventuale significato si può accedere solo mercé la intuizione”.