L’utilizzo delle tecniche elettrodiagnostiche in neurologia risale all’inizio del secolo, mentre l’applicazione dei campi magnetici è in atto soltanto da pochi anni. Nel recente passato, più a scopo di ricerca che diagnostico, si era anche diffusa la tecnica della stimolazione elettrica transcranica, utile soprattutto per gli studi di localizzazione anatomica e funzionale delle aree corticali (soprattutto della corteccia motoria frontale), e più tardi lo studio della conduzione lungo la via piramidale. Nonostante i progressivi perfezionamenti di questa tecnica, essa non ha mai ottenuto unanime consenso a causa dell’inevitabile intensa sintomatologia dolorosa arrecata al paziente. La stimolazione magnetica transcranica risponde positivamente proprio a questo inconveniente: permette l’attivazione di tessuti eccitabili senza l’evocazione di una sintomatologia dolorosa.Il sistema di stimolazione è costituito da un generatore di corrente a elevata intensità (5000 Ampère) e da un sistema di stimolazione che viene posizionato sul capo, costituito da una spira metallica capace di generare un campo magnetico di intensità pari a 1,5-2,0 Tesla circa. Quando l’operatore decide di stimolare, da una serie di condensatori “viene scaricata” sul coil (la spira metallica) una corrente elettrica che genera a sua volta un campo magnetico; quest’ultimo attraversa, praticamente immodificato, la scatola cranica, inducendo sul tessuto cerebrale un più debole campo elettrico. Lo stimolo provoca una contrazione della muscolatura controlaterale e la risposta muscolare viene registrata tramite elettrodi di superficie, posti sui muscoli prossimali e distali degli arti superiori e inferiori: combinando le sedi di stimolazione è possibile calcolare il tempo di conduzione motoria centrale.I potenziali evocati motori (PEM) ottenuti con la stimolazione magnetica transcranica (SMT), rispetto a quelli evocati con la stimolazione elettrica, presentano un ritardo di latenza che si ritiene dovuto al fatto che, mentre il campo elettrico è perpendicolare alla corteccia e attiva direttamente i neuroni piramidali, il campo elettrico “secondario” indotto dalla stimolazione magnetica è diretto tangenzialmente alla corteccia motoria e stimolerebbe preferibilmente popolazioni neuronali disposte presinapticamente rispetto ai neuroni piramidali; a conferma della precedente ipotesi, il periodo silente corticale (inibizione dell’attività volontaria dopo stimolazione) è più duraturo in caso di SMT. Questa caratteristica stimolazione, evidentemente indiretta tramite popolazioni interneuronali, delle cellule piramidali rappresenta un ulteriore vantaggio della SMT rispetto alla semplice stimolazione elettrica, perché permette lo studio non solo del sistema cortico-spinale, ma anche delle aree motorie associative.L’intensità di stimolazione viene valutata come percentuale o multiplo della soglia di attivazione corticale (SAC), definita come l’intensità minima di stimolazione capace di produrre, in una serie di 10 stimoli, almeno il 50% di PEM di ampiezza superiore a 50 µV. Questo parametro ha però soltanto un valore intrapaziente e non è utilizzabile quale metodica di confronto tra pazienti e patologie diversi. Altro parametro è il periodo silente corticale (PSC), la durata dell’inibizione all’attività EMG che segue a un potenziale evocato motorio successivo a contrazione muscolare; fornisce informazioni sulla durata e non sulla profondità dell’inibizione post-PEM. La profondità dell’inibizione può invece essere adeguatamente esaminata con la tecnica del doppio stimolo: con due stimoli in successione, il primo “condizionante” e il secondo “test”, è possibile valutare l’entità dell’effetto eccitatorio o inibitorio del primo stimolo in base all’ampiezza del PEM dello stimolo test. Con la stessa metodica, utilizzando brevi intervalli interstimolo (1-15 msec), è possibile esaminare eventi esclusivamente intracorticali (inibizione cortico-corticale). La SMT ripetitiva con metodica del doppio stimolo ha permesso di accrescere le nostre conoscenze sui fenomeni eccitatori e inibitori nel SNC. Tale tecnica avrebbe poi un impiego clinico quando fatta a bassa intensità e frequenza di stimolazione (ad es., la riduzione delle mioclonie in alcuni pazienti affetti da m. di Lafora con mioclonie subcontinue); i risultati preliminari di quest’impiego clinico sembrerebbero suggerire che la SMT influisca sull’eccitabilità corticale in maniera prolungata nel tempo, forse perché in grado di indurre fenomeni di plasticità neuronale.Nel complesso, questa tecnica avrebbe impiego nello studio della fisiopatologia della scarica epilettica. La SMT non è in grado di modificare l’EEG di un soggetto normale né si è rivelata utile a scatenare focolai epilettogeni in pazienti affetti da forme di epilessia parziale in vista di intervento neurochirurgico, mentre ha permesso di accrescere le conoscenza sulla fisiopatologia di alcuni tipi di scarica EEG epilettica (soprattutto la scarica punta-onda a 3 Hz), di scoprire i meccanismi di base della scarica fotoparossistica e di acquisire nuovi dati sul mioclono corticale riflesso.

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